Osservazioni sulla “presunta” Riforma PA a cura dell’ufficio politiche economiche e del pubblico impiego
Ormai da anni si attuano riforme della PA, soprattutto dettate da esigenze di cassa, il risultato è che ancor oggi, come tutti i precedenti governi, anche quello di Renzi si prefigge la riforma della PA innanzitutto per ridurne le spese, poi per sburocratizzarla e quindi favorire la crescita. Purtroppo l’ennesimo processo di riforma della PA, iniziata col DL 90/2014 e relativa legge di conversione 303/2014, nel contesto di recessione ormai certificata, non ha avuto alcuna influenza sulla crescita del PIL e avrà un’influenza nulla su quelle che riteniamo essere le caratteristiche di una PA al servizio dei cittadini e funzionale all’equità sociale.
Indubbiamente la riforma della “burocrazia”, intesa anche come quantità di normative che andrebbero semplificate, è necessaria per rilanciare il Paese, ma preoccupa che la conferma di un’Italia in recessione non abbia prodotto nessuna autocritica sul fatto che le “riforme epocali” in atto non hanno avuto, né avranno, alcun effetto benefico sull’andamento della nostra economia. Ciò porta a dedurre che anche questa riforma sarà l’ennesimo buco nell’acqua salvo i tagli che ne conseguiranno e che porteranno una ulteriore riduzione dei servizi pubblici in linea solo con le politiche neoliberiste.
Una pubblica amministrazione efficiente e d’aiuto alla crescita dovrebbe:
a) avere la possibilità di fare investimenti; invece, le regole del patto di stabilità hanno abbattuto drasticamente questo tipo di spesa, spingendo il Pil alla recessione e la Pubblica Amministrazione di questo Paese ad infrastrutture che è eufemistico definire obsolete;
b) poter effettivamente ridurre al minimo regole e controlli formali (leggi, decreti, regolamenti) per poter definire e concludere ogni atto in tempi brevissimi. Al contrario continua il diluvio di norme, peggiorato negli ultimi anni anche dal proliferare di delibere e pareri delle Authority, rendendo impossibile la trasparenza, irrigidendo e rallentando l’attività degli uffici. Insomma la
sovrabbondanza di regole non consente una effettiva gestione “per risultati” e costringe funzionari e dirigenti ad evitare innanzitutto le responsabilità.
Un esempio è il conferimento alle amministrazioni dell’autonomia sulla contrattazione di secondo livello, autonomia soggetta ad un meticoloso e particolareggiato controllo della Ragioneria generale dello Stato ed alla giurisdizione della Corte dei conti, che mina ulteriormente la tenuta delle relazioni sindacali.
Ancora. Si misura l’efficienza solo in termini di tempi e non anche in limitazione del contenzioso o di accordi e protocolli con le categorie rappresentative dei diversi interlocutori.
c) sostituire l’iter di autorizzazione e controllo prima dell’avvio delle attività dei privati, l’offerta di una consulenza preparatoria e l’acquisizione delle comunicazioni di inizio attività per poi effettuare i controlli, fissando obbligazioni precise in relazione agli esiti delle consulenze preventive, attribuendo responsabilità ai dirigenti ed agli uffici che a seguito dei controlli ripensino impropriamente a negoziazioni concesse in precedenza.
d) semplificare i processi, non dettando regole sui magistrati, ma rivedendo e riducendo a fondo i codici di procedura per semplificare dibattiti ed udienze, mentre i processi civile e penale sono un ginepraio di norme, cavilli e codicilli che sembrano pensati unicamente per consentire alla “parte forte” del processo di prendere tempo, mirare invece che alla questione sostanziale a quella formale.
e) procedere all’eliminazione della superfetazione di tasse. La vicenda Ici-Imu-Iuc-Tari-Tasi dimostra come il legislatore sia ormai incapace di pensare alla più essenziale riforma delle imposte:
che consiste nel ridurne il numero e arrivare ad avere una sola tassa per il reddito, una sola tassa nazionale sul patrimonio, una sola tassa locale per i servizi e la casa. L’annuncio dei moduli precompilati, da confermare pena sanzioni, sono solo fumo negli occhi.
Di tutto questo nel d.l. 90/2014 convertito nella legge 303/2014 e nel disegno di legge delega della riforma della PA, non v’è traccia. 2
La grande e rivoluzionaria riforma della PA, che dovrebbe concorrere al rilancio dell’economia in recessione, ovvero tutta quella serie di norme che vanno dalla facoltà di pensionare il personale a 62 anni a quella di eliminare il trattenimento in servizio spacciata per “staffetta generazionale”, ai fini della lotta alla recessione appaiono del tutto ininfluenti.
Al contrario operano invece l’ampliamento al 30% della percentuale dei dirigenti che possono essere cooptati senza concorso, ma per chiamata “fiduciaria” dai sindaci; l’aver consentito ai sindaci di incaricare i componenti dello staff retribuendoli come dirigenti anche se non laureati e quest’ultima norma sanerà forse qualche caso “scabroso” ma creerà ulteriore clientela. Tralasciamo poi le norme sulla mobilità obbligatoria entro 50 chilometri, che è solo un modo per tenere sotto ricatto i dipendenti creando solo disagi; l’eliminazione dei diritti di rogito per i segretari comunali e la loro soppressione; infine l’abolizione degli incentivi per i progettisti, che causerà la proliferazione di incarichi esterni molto più costosi. Tutte queste modifiche avranno effetti negativi non solo sulla recessione, ma anche rispetto ai veri problemi di produttività e sburocratizzazione, perché si limitano ad ampliare lo spoil system e consentono di assicurare posti pubblici ai partiti.
Tutto serve, per durare 1000 giorni e a tal fine sembra utile anche il disegno di legge, Riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche, d’iniziativa governativa presentato al Senato il 23 luglio 2014, che comprende dieci deleghe da esercitare entro un anno dall'approvazione della legge.
Lo scopo dichiarato di questo ddl è di semplificare l'organizzazione della pubblica amministrazione rendendo più agevoli e trasparenti le regole che ne disciplinano i rapporti con il privato cittadino, le imprese e i suoi dipendenti, a tale fine il Governo si propone:
• di innovare la pubblica amministrazione attraverso la riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato, • di riformare la dirigenza,
• di definire il perimetro pubblico,
• di conciliare i tempi di vita e lavoro
• di semplificare le norme e le procedure amministrative.
Più in dettaglio il disegno di legge 1577 Senato prevede vari interventi diretti sulla normativa vigente e le seguenti deleghe finalizzate a:
1) • velocizzare e semplificare i servizi resi dalla PA, in particolare la revisione della disciplina
riguardante la conferenza dei servizi; la segnalazione certificata di inizio attività e il silenzio assenso. Lo scopo è quello di ridurre l’accesso fisico dei cittadini agli uffici pubblici e facilitare e diffondere l’accessibilità on line;
2) • rivedere e semplificare le disposizioni in materia di anticorruzione, pubblicità e trasparenza e ridurre gli oneri per le amministrazioni pubbliche;
3) • ridurre uffici e personale impiegato in attività strumentali per concentrare le risorse su quelle strutture che forniscono servizi diretti ai cittadini;
• ridurre gli uffici di diretta collaborazione dei ministri e sottosegretari;
• razionalizzare la rete delle Prefetture Ufficio Territoriale del Governo, con revisione delle relative competenze e funzioni attraverso la riduzione del loro numero;
• riarticolare gli uffici a livello regionale, con una gestione unitaria dei servizi strumentali delle PPAA, mediante la costituzione di uffici comuni;
4) • modificare la disciplina dell’attività, del ruolo e delle funzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri definendo gli strumenti normativi ed amministrativi per la direzione della politica generale del Governo ed il mantenimento dell’unità di indirizzo politico;
5) • Delimitare le funzioni e riformare il sistema di finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, eliminando il contributo obbligatorio delle imprese;
ridefinire le circoscrizioni territoriali ed eliminare duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche; limitare le partecipazioni societarie e gli ambiti di svolgimento delle funzioni di
promozione del territorio e dell’economia locale: trasferire al Ministero dello Sviluppo economico le competenze relative al Registro delle imprese; ridurre il numero dei
componenti degli organi e relativi compensi;
• Istituire il sistema della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati che coinvolgerà i dirigenti dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali ed anche i Segretari comunali e provinciali. Ruoli unificati anche per la dirigenza delle autorità indipendenti. La delega consente di rivedere il sistema di accesso alla dirigenza prevedendo il corso-concorso e il concorso; consente anche di ridefinire le modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali e la loro durata nonché le responsabilità dirigenziali e la valutazione dei risultati.
La retribuzione infine sarà omogeneizzata nell’ambito di ciascun ruolo unico.
• Riordinare la disciplina del lavoro nelle PPAA, predisponendo nei concorsi pubblici un sistema stabile di riconoscimento delle professionalità acquisite dai lavoratori con contratto flessibile.
Oltre alle deleghe sopraccitate il ddl interviene direttamente sulla normativa vigente in materia di silenzio assenso (art. 17 bis L.7 agosto 1990 n.241); di autotutela amministrativa (art 19, 21-quinquies e 21-nonies); di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, per favorire il part-time, il telelavoro e sperimentando forme di co-working e smart-working, inoltre è prevista la modifica del Codice dell'ordinamento militare (art. 596 del d.lgvo 15 marzo 2010, n. 66) .
Ricordiamo che misure di razionalizzazione e riorganizzazione della PA, di semplificazione delle procedure amministrative e in materia di pubblico impiego sono state già precedentemente introdotte e modificate dal
1. decreto “semplifica Italia” (9 febbraio 2012 n°5 conv. L. 4aprile 2012, n.35);
2. “decreto legge del fare” (dl 21 giugno 2013 n69 conv. L. 9 agosto 2013 n.98);
3. decreto legge 31 agosto 2013, n.101 conv. L. 30 ottobre2013 n 125;
4. L. 6 nov.2012 n.190 anticorruzione e d.legisl. 14 marzo 2013 n.33;
5. “decreto competitività” (DL 24 aprile 2014 n.66 conv. L.23 giugno 2014 n.89);
6. dl 24 giugno 2014, n.90.
Visti i risultati in termini di miglioramento della qualità dei servizi pubblici è lecito dedurre che tutte queste riforme erano principalmente dettate dall’esigenza di far cassa. Lo conferma lo stesso Governo che nel presentare questa ulteriore riforma dice che tutte queste misure hanno “consentito di realizzare un ingente risparmio e il nuovo provvedimento, con gli ulteriori risparmi che ne deriveranno, darà un importante contributo anche per il rispetto degli impegni assunti in sede europea.”(dall’analisi tecnico-normativa del disegno di legge in esame).
E’ opportuno ricordare che a novembre 2013 il commissario Cottarelli aveva quantificato i risparmi da attuare recepiti nella Legge di Stabilità 2014 poi incrementati consistentemente nel DEF 2014.
Risparmi Riforma PA
(in miliardi di €)
Anni Legge di stabilità DEF
2014 2014
2014 4,5
2015 3,6 17
2016 8,3 32
2017 11,3
Quanto al DL 90/2014 con la sottostante tabella riassumiamo l’impatto finanziario
DL 90/2014 oneri e risparmi
(in Milioni €)
SPESE | Risparmi previsti | Risparmi attuati | ||
Anni | Oneri previsti | Risparmi dettati dalla Spending review | Risparmi conseguiti relativi alle PPAA | Risparmi conseguiti dagli enti territoriali |
2014 | 2,6 | 448,4 | ||
2015 | 75,2 | 1.448,0 | 1.372,8 | 344,0 |
2016 | 113,4 | 1.998,1 | 1.874,7 | 688,0 |
2017 | 123,2 | 1.997,9 | 1874,7 | 688,0 |
2018 | 152,9 | 1.339,6 | 1.186,7 | |
totale | 467,3 | 6.783,6 | 6.757,3 | 1.720,0 |
In sostanza a fronte di 467,3 milioni di spese previste per le PPAA dal 2014 al 2018, Cottarelli aveva consigliato un risparmio complessivo di 6.783,6 milioni di euro, il Governo Renzi ne ha attuato uno di 6.757,3 nelle PA e 1720 negli enti territoriali, un miliardo e 693 milioni di euro più di quanto prevedeva la spending review.
Per quanto invece attiene al ddl 1577 in esame la Relazione Tecnica non definisce l’entità dei risparmi: “dall’emanazione dei decreti legislativi, deriveranno risparmi per la finanza pubblica allo stato non quantificabili e che verranno accertati a consuntivo”.
Concludiamo facendo notare che il ddl contiene un’ampia definizione di “pubblica amministrazione” finalizzato –secondo il governo – ad agevolare l’individuazione dei destinatari
delle norme.
La definizione del perimetro di PA a cui si applicherebbe la riforma riporta un elenco indigesto non solo ai liberali, perché nella PA sono comprese oltre alle articolazioni centrali e periferiche dello Stato, enti e società controllate (non le quotate) ma anche le università private, le scuole paritarie, gli ordini professionali. Una enorme fetta di libera e autonoma espressione dei privati e della loro iniziativa (prevista dalla Costituzione) che diventa “Stato” a tutti gli effetti. In tal modo Renzi ha risolto il problema del finanziamento pubblico alle scuole private e statalizza invece di abolire gli ordini professionali ma rinvia l’eliminare iniziative pubbliche in perdita, che riguardano la gran parte delle aziende municipalizzate. Tra le circa 6.400 aziende che gli enti locali possiedono, infatti, una su quattro ha redditività negativa rispetto al capitale investito. Sono imprese che, legittimate dallo svolgimento di un servizio alla collettività, sono diventate luogo principe di clientelismo e favoritismi.